Persino in questo paese relativamente libero, gli uomini, nella maggior parte (per pura ignoranza ed errore), sono così presi dalle false preoccupazioni e dai più superflui e grossolani lavori per la vita, che non possono cogliere i frutti più saporiti che questa offre loro: le fatiche eccessive cui si sottopongono hanno reso le loro dita troppo impacciate e tremanti. In effetti, un uomo che lavora duramente non ha abbastanza tempo per conservare giorno per giorno la propria vera integrità: non può permettersi di mantenere con gli altri uomini i più nobili rapporti, perché il suo lavoro sarebbe deprezzato sul mercato; ha tempo solo per essere una macchina.(Walden, H.D. Thoreau)
Glasgow (Scozia), 25 Ottobre 2013
A volte, come tanti, ho paura del futuro. Però mi
riprendo in fretta, e oggi già sto meglio. Così tra letture, e nelle lunghe
passeggiate quotidiane, ho immaginato una sorta di dialogo col mio coinquilino,
prototipo della vittima di questo tempo.
Quarant’anni, pochi amici, forse in passato ha avuto
problemi con l’alcol e/o con la polizia, tanto che, unico nel Regno Unito, al
pub beve succo di frutta. Come me. Non lavora, se non a periodi alterni, e vive
– a parte del mio affitto - con la JSA, la Job Seekers Allowance, un contributo
offerto dallo stato mentre i Job Center ti aiutano a cercare lavoro, a volte
per mesi o anni. Vorrei un dialogo maggiore con lui, ma non capisco francamente
un accidenti quando parla con quello strettissimo – e direi irritante - accento
“glaswegian”.
Qui l’opinione pubblica è da sempre divisa sul tema dei
social benefit. Chi lavora accusa i long-term JSA di vivere a spese dello
stato; chi non lavora e vive con il misero contributo per vitto e alloggio
sogna altro. Giudichiamo perché qui lo stato è la versione britannica della
famiglia italiana, quando c’è, che da noi garantisce in vari modi la stabilità
ed aiuta ad esorcizzare la paura dell’ignoto…
Ribadiamo alcuni punti fermi: anche nei paesi sviluppati,
siamo tutti meno “uguali” di quel che pensiamo, il capitalismo ci rende più
soli e attaccati ad un sogno impossibile, quello che solo nella ricchezza
possiamo dirci felici e tranquilli. E poi, questa crisi non finirà mai. Le
industrie, quando hanno ancora mercato, scappano dove possono inquinare
indisturbate e sfruttare lavoratori al limite della sicurezza e dei diritti; i servizi
e tante inutili amenità ci stanno sommergendo, e costringendo ad una vita
orientata ai consumi, allo spreco, all’ineguaglianza.
No, troppo astratto. Diciamo che il mondo è diviso tra sicuri
e insicuri, ansiosi di accumulare (a varie grandezze) e ansiosi di arrivare al
domani. Il lavoro non è più indice di benessere. Tanto che a Londra molti tra
quelli che hanno un lavoro vivono sotto la soglia di povertà relativa. Il
concetto del lavoro è una convenzione sociale: viene considerato lavoro ciò che
il capitalismo definisce produttivo e dunque remunerativo, anche se non apporta
nessun beneficio sociale. Quel che non è produttivo in questo senso diventa
inutile, ozio, non-lavoro (passatempo? Volontariato? Passione? Hobby?), anche
se forse in un’altra epoca, o in un sistema alternativo, sarebbe un lavoro, o
quantomeno avrebbe dignità ed utilità sociale, e i lavori davvero inutili o addirittura
dannosi sparirebbero.
Torno al Job center. I Job center funzionano bene, ma non
possono fare assolutamente nulla. Il lavoro che vorremmo non c’è più per tutti.
Quando c’è, è temporaneo e malpagato, o ci rende insoddisfatti, perché così
serve il sistema. Il mostro viene creato e poi si finge di volerlo abbattere, per
poi dare la colpa ai disoccupati che campano a vita sui benefit. Io penso una
cosa semplice e forse semplicistica. Tutti vogliono lavorare. Tutti vogliono un
lavoro soddisfacente e retribuito per vivere dignitosamente. Ma soprattutto,
tutti vogliono fare qualcosa che piace, sentirsi realizzati, fare qualcosa che
contribuisca a migliorare la vita sulla terra, a capire meglio le miserie umane
ed alleviare le sofferenze e le disparità, materiali e immateriali. Ritengo quindi
che si debba ripensare il concetto del lavoro. Semmai, ciascuno ha al contempo
diverse priorità e considera il lavoro una componente tra tante dello spazio
quotidiano, a cui dà diversa importanza in ogni fase della vita. Inoltre, lo
stereotipo del lavoro stabile, e l’idea che tutti dobbiamo vivere con lo stesso
tenore di vita (anche se non ce lo possiamo permettere), ci sta mangiando il
cervello. NON siamo tutti uguali. E non lo saremo MAI. La democrazie e la
meritocrazia NON esistono. Perché agitarsi? Se ci dicessero che tutto questo è
normale, saremmo più sereni, vivremmo meglio, saremmo meno depressi, avremmo
meno ansie, e ci aiuteremmo di più.
Perciò se per un giorno lavorassi al Job center, al mio
coinquilino direi…
“Ascolta Brian, il lavoro NON c’è, inutile illuderti, se
e quando c’è – anche se nella maggior parte dei casi ti farà schifo - ti diamo
un colpo di telefono. Intanto, nell’attesa, iniziamo a risistemare cose
essenziali per vivere meglio: visto che hai tempo, anziché mangiare schifezze
precotte ogni giorno, che ti faranno morire a cinquant’anni [guardare le
statistiche per credere!] e anziché deprimerti davanti alla tv dopo questi
mortificanti colloqui, ti facciamo fare delle cose utili alla tua persona, dove
incontri persone nuove. Che ne so, fare il pane, preparare dei dolci, cose
semplici, o altri lavori manuali, per usare in modo proficuo questo tempo. Vi
manderei un artista (ma non di quelli spocchiosi), dopo avergli fatto leggere
Ruskin, per insegnarvi a disegnare, a guardare ai dettagli, ai colori, a queste
nuvole stupende che corrono ogni giorno nel cielo, in modo diverso; ti riempirei
di libri essenziali su cui meditare, con cui sentirti ugualmente appagato e
produttivo, anzi vi farei fare pure dei corsi di scrittura, individuale e
collettiva. A questo proposito, prenderei uno di quegli stabili ex-industriali
e rifarei completamente la biblioteca di quartiere, che com’è ora fa schifo, è
piccola, inutile e non accogliente. Ti direi, visto che sei appassionato di
escursionismo, di organizzare, per tutti i disoccupati di Anniesland, tossici
compresi, una gita di gruppo, qui vicino, a Loch Lomond, che conosci bene, con
tanto di pic-nic in cui ognuno porta qualcosa da mangiare - quelle robe che imparerete a preparare -. In
fondo, la natura resta ancora un bene pubblico (almeno qui), qualcuno dice che
porti beneficio, e che il degrado umano sia dovuto all’allontanamento dai ritmi
e tempi della natura. Ti direi, sforzati di usare di più la bici, almeno per le
brevi distanze, tanto di tempo ne hai, così sfoghi il tuo nervosismo e fai sport,
inquini di meno e risparmi sul carburante. Userei questi soldi pubblici per
farvi fare laboratori di musica, canto, pittura, fotografia, ma anche
falegnameria, saponificazione, cucito, uncinetto (ok, solo per le donne…). E a
Natale farai un figurone, con mamma, papà e sorella. Anziché passare in
rosticceria e mangiare per il pranzo natalizio robe precotte, che proprio non
si può sentire, preparerai tutto tu; ok, non mi aspetto i ravioli ripieni fatti
a mano. E tutto avrà un sapore diverso. E tutto costerà meno. E penserete un po’
meno ai soldi e baderete più alla qualità della vita, a produrre con le mani quello
che serve, e al dono del tempo e dei rapporti autentici, mentre aspettate
quella chiamata che chissà se e quando arriverà”.
Consideriamo per un istante le cause della maggior parte delle
seccature e delle ansietà di cui ho parlato, e quanto sia
necessario per noi essere travagliati o almeno preoccupati.
Sarebbe di qualche vantaggio condurre una vita primitiva e di
frontiera, anche se ci troviamo nel bel mezzo d'una civiltà
puramente esteriore, se non altro per imparare quali siano le
necessità materiali e quali siano stati i mezzi impiegati a
soddisfarle
HD Thoreau, Walden