sabato 26 ottobre 2013

Dialogo immaginario col mio coinquilino

Persino in questo paese relativamente libero, gli uomini, nella maggior parte (per pura ignoranza ed errore), sono così presi dalle false preoccupazioni e dai più superflui e grossolani lavori per la vita, che non possono cogliere i frutti più saporiti che questa offre loro: le fatiche eccessive cui si sottopongono hanno reso le loro dita troppo impacciate e tremanti. In effetti, un uomo che lavora duramente non ha abbastanza tempo per conservare giorno per giorno la propria vera integrità: non può permettersi di mantenere con gli altri uomini i più nobili rapporti, perché il suo lavoro sarebbe deprezzato sul mercato; ha tempo solo per essere una macchina.(Walden, H.D. Thoreau)



Glasgow (Scozia), 25 Ottobre 2013

A volte, come tanti, ho paura del futuro. Però mi riprendo in fretta, e oggi già sto meglio. Così tra letture, e nelle lunghe passeggiate quotidiane, ho immaginato una sorta di dialogo col mio coinquilino, prototipo della vittima di questo tempo.

Quarant’anni, pochi amici, forse in passato ha avuto problemi con l’alcol e/o con la polizia, tanto che, unico nel Regno Unito, al pub beve succo di frutta. Come me. Non lavora, se non a periodi alterni, e vive – a parte del mio affitto - con la JSA, la Job Seekers Allowance, un contributo offerto dallo stato mentre i Job Center ti aiutano a cercare lavoro, a volte per mesi o anni. Vorrei un dialogo maggiore con lui, ma non capisco francamente un accidenti quando parla con quello strettissimo – e direi irritante - accento “glaswegian”.

Qui l’opinione pubblica è da sempre divisa sul tema dei social benefit. Chi lavora accusa i long-term JSA di vivere a spese dello stato; chi non lavora e vive con il misero contributo per vitto e alloggio sogna altro. Giudichiamo perché qui lo stato è la versione britannica della famiglia italiana, quando c’è, che da noi garantisce in vari modi la stabilità ed aiuta ad esorcizzare la paura dell’ignoto…

Ribadiamo alcuni punti fermi: anche nei paesi sviluppati, siamo tutti meno “uguali” di quel che pensiamo, il capitalismo ci rende più soli e attaccati ad un sogno impossibile, quello che solo nella ricchezza possiamo dirci felici e tranquilli. E poi, questa crisi non finirà mai. Le industrie, quando hanno ancora mercato, scappano dove possono inquinare indisturbate e sfruttare lavoratori al limite della sicurezza e dei diritti; i servizi e tante inutili amenità ci stanno sommergendo, e costringendo ad una vita orientata ai consumi, allo spreco, all’ineguaglianza.

No, troppo astratto. Diciamo che il mondo è diviso tra sicuri e insicuri, ansiosi di accumulare (a varie grandezze) e ansiosi di arrivare al domani. Il lavoro non è più indice di benessere. Tanto che a Londra molti tra quelli che hanno un lavoro vivono sotto la soglia di povertà relativa. Il concetto del lavoro è una convenzione sociale: viene considerato lavoro ciò che il capitalismo definisce produttivo e dunque remunerativo, anche se non apporta nessun beneficio sociale. Quel che non è produttivo in questo senso diventa inutile, ozio, non-lavoro (passatempo? Volontariato? Passione? Hobby?), anche se forse in un’altra epoca, o in un sistema alternativo, sarebbe un lavoro, o quantomeno avrebbe dignità ed utilità sociale, e i lavori davvero inutili o addirittura dannosi sparirebbero.

Torno al Job center. I Job center funzionano bene, ma non possono fare assolutamente nulla. Il lavoro che vorremmo non c’è più per tutti. Quando c’è, è temporaneo e malpagato, o ci rende insoddisfatti, perché così serve il sistema. Il mostro viene creato e poi si finge di volerlo abbattere, per poi dare la colpa ai disoccupati che campano a vita sui benefit. Io penso una cosa semplice e forse semplicistica. Tutti vogliono lavorare. Tutti vogliono un lavoro soddisfacente e retribuito per vivere dignitosamente. Ma soprattutto, tutti vogliono fare qualcosa che piace, sentirsi realizzati, fare qualcosa che contribuisca a migliorare la vita sulla terra, a capire meglio le miserie umane ed alleviare le sofferenze e le disparità, materiali e immateriali. Ritengo quindi che si debba ripensare il concetto del lavoro. Semmai, ciascuno ha al contempo diverse priorità e considera il lavoro una componente tra tante dello spazio quotidiano, a cui dà diversa importanza in ogni fase della vita. Inoltre, lo stereotipo del lavoro stabile, e l’idea che tutti dobbiamo vivere con lo stesso tenore di vita (anche se non ce lo possiamo permettere), ci sta mangiando il cervello. NON siamo tutti uguali. E non lo saremo MAI. La democrazie e la meritocrazia NON esistono. Perché agitarsi? Se ci dicessero che tutto questo è normale, saremmo più sereni, vivremmo meglio, saremmo meno depressi, avremmo meno ansie, e ci aiuteremmo di più.

Perciò se per un giorno lavorassi al Job center, al mio coinquilino direi…
“Ascolta Brian, il lavoro NON c’è, inutile illuderti, se e quando c’è – anche se nella maggior parte dei casi ti farà schifo - ti diamo un colpo di telefono. Intanto, nell’attesa, iniziamo a risistemare cose essenziali per vivere meglio: visto che hai tempo, anziché mangiare schifezze precotte ogni giorno, che ti faranno morire a cinquant’anni [guardare le statistiche per credere!] e anziché deprimerti davanti alla tv dopo questi mortificanti colloqui, ti facciamo fare delle cose utili alla tua persona, dove incontri persone nuove. Che ne so, fare il pane, preparare dei dolci, cose semplici, o altri lavori manuali, per usare in modo proficuo questo tempo. Vi manderei un artista (ma non di quelli spocchiosi), dopo avergli fatto leggere Ruskin, per insegnarvi a disegnare, a guardare ai dettagli, ai colori, a queste nuvole stupende che corrono ogni giorno nel cielo, in modo diverso; ti riempirei di libri essenziali su cui meditare, con cui sentirti ugualmente appagato e produttivo, anzi vi farei fare pure dei corsi di scrittura, individuale e collettiva. A questo proposito, prenderei uno di quegli stabili ex-industriali e rifarei completamente la biblioteca di quartiere, che com’è ora fa schifo, è piccola, inutile e non accogliente. Ti direi, visto che sei appassionato di escursionismo, di organizzare, per tutti i disoccupati di Anniesland, tossici compresi, una gita di gruppo, qui vicino, a Loch Lomond, che conosci bene, con tanto di pic-nic in cui ognuno porta qualcosa da mangiare  - quelle robe che imparerete a preparare -. In fondo, la natura resta ancora un bene pubblico (almeno qui), qualcuno dice che porti beneficio, e che il degrado umano sia dovuto all’allontanamento dai ritmi e tempi della natura. Ti direi, sforzati di usare di più la bici, almeno per le brevi distanze, tanto di tempo ne hai, così sfoghi il tuo nervosismo e fai sport, inquini di meno e risparmi sul carburante. Userei questi soldi pubblici per farvi fare laboratori di musica, canto, pittura, fotografia, ma anche falegnameria, saponificazione, cucito, uncinetto (ok, solo per le donne…). E a Natale farai un figurone, con mamma, papà e sorella. Anziché passare in rosticceria e mangiare per il pranzo natalizio robe precotte, che proprio non si può sentire, preparerai tutto tu; ok, non mi aspetto i ravioli ripieni fatti a mano. E tutto avrà un sapore diverso. E tutto costerà meno. E penserete un po’ meno ai soldi e baderete più alla qualità della vita, a produrre con le mani quello che serve, e al dono del tempo e dei rapporti autentici, mentre aspettate quella chiamata che chissà se e quando arriverà”.

Consideriamo per un istante le cause della maggior parte delle
seccature e delle ansietà di cui ho parlato, e quanto sia
necessario per noi essere travagliati o almeno preoccupati.
Sarebbe di qualche vantaggio condurre una vita primitiva e di
frontiera, anche se ci troviamo nel bel mezzo d'una civiltà
puramente esteriore, se non altro per imparare quali siano le
necessità materiali e quali siano stati i mezzi impiegati a
soddisfarle

HD Thoreau, Walden