sabato 29 giugno 2013

Due lune

Sousse, Tunisia.

Il mare di notte ha un fascino unico. Se poi trovi quegli angoli pacifici, non troppo illuminati, dove qualcuno si nasconde per bere in auto e i pescatori, in silenziosa pazienza, sperano che qualche pesce abbocchi all'amo, con le luci dell'ingresso del porto all'orizzonte e una luna (anzi due...) a tre quarti che fa capolino, il gioco è fatto. Riesci anche a risollevarti da stanchezza, sfiducia, disillusione. 

Questa città mi appare così insignificante, vuota, priva di anima. E ogni volta che cambio aria ritrovo ispirazione, fiducia, armonia. Eppure, come già mi è successo in altre città tunisine, qualcuno che crede davvero, nel modo che piace a me, esiste. Si chiama K., ha più o meno la mia età, ha un'anima verde, creativa, sensibile, e soffre l'aridità della città, e ultimamente pure d'insonnia. Ogni tanto mi porta a respirare la brezza marina, a guardare la luna, o il tramonto. Cose che a nessuno, qui, pare interessino granché. 

Mentre cerco di rilassare la mente, ancora stordita dal sole, dal viaggio, e dal caos della capitale, K. mi confessa che da quando sono arrivata sta riprendendo l'inglese che una vecchia insegnante aveva reso indigesto; gli dispiace che io capisca bene il francese, perché questo non gli impone lo sforzo di cambiare lingua. Beh, rispondo, io ho il problema opposto, il francese non mi viene più spontaneo come una volta, dovrei pensarci, e poi parlare diventerebbe faticoso e un po' noioso. 

E così facciamo lunghe chiacchierate sulla vita, sull'ingiustizia e la corruzione dilagante, sulla voglia di starsene in pace in un luogo selvaggio e deserto - perché è bello combattere, ma poi finisci per distruggere il tuo equilibrio, perdi l'ispirazione -, chissà, magari domani; e se quel pescatore fosse di qualche metro più vicino, penserebbe che siamo matti, a origliare una conversazione a tratti seria, a tratti no, in cui uno parla inglese e l'altro risponde prontamente in francese, come se fossero la stessa lingua.

(Tracy Chapman, All that you  have is your soul)

venerdì 21 giugno 2013

Rivoluzione, "mi manchi"

Sousse, Tunisia.

Forse è un po' presto per parlarne, ma per me il tempo è sempre denso, e meno lento di quel che pensi. Sono qui da poco più di un mese, e ho già capito e sconvolto tante cose, pur rimettendoci sonno, salute, e soprattutto la vita sociale. Ma nell'ottica del non-spreco, sto anche leggendo tantissimo, e molte idee sul futuro mi frullano in testa. Lasciamole fermentare. Per adesso, è il turno di One-dimensional man di Marcuse, dopo aver divorato The precariat di Guy Standing, che ora è disponibile anche in italiano e suggerisco vivamente.

La fatica è tanta e l'emozione di fronte agli ormai quotidiani "mi manchi" da Londra, Roma, Torino, ecc. quasi insostenibile, un po' mi consolano e un po' acuiscono la solitudine. Un bicchiere di vino da rinviare forse per sempre, la compagnia quotidiana che non c'è più, il ricordo di tempi lontani, la voglia di godere da vicino le affinità elettive. Ma devo resistere, senza ingenuità e un po' di cinismo, usando tutte le risorse che ho accumulato in questi anni.

Vorrei condividere intanto, da quest'osservatorio privilegiato, alcuni pensieri sullo stato post-rivoluzionario della Tunisia. 

Come ormai tutti abbiamo pacificamente appurato, la Rivoluzione è stato un bluff, un fulmine a ciel sereno che non ha prodotto gli effetti sperati. E ora spiegherò il perchè.

La società tutta non è pronta. Il Paese ha un potenziale enorme, delle intelligenze incredibili, una marea di ingegneri che sempre più saranno diretti altrove (o usati per fini altrui) da USA e Germania, e questo perchè  il popolo si è da sempre arricchito della mescolanza tra culture. Tuttavia, si tratta, come altri, di un paese Mediterraneo, e certa mentalità dominante non consente alle eccellenze di emergere. 

Come abbiamo visto, finalmente il diritto di voto e la fine del regime ha consentito ai cittadini di eleggere non un governo (anche a livello locale) ma un'assemblea costituente che lavora da due anni e non ha ancora prodotto una carta definitiva. La maggioranza è stata conquistata dagli islamisti moderati di Ennhada, un partito che in modo più o meno latente ha instillato nella società l'illusione che una svolta conservatrice in senso religioso possa portare il cambiamento sperato, un'emancipazione dalle potenze occidentali. La Tunisia finora ha consentito la convivenza pacifica di modelli differenti, più tradizionalisti e più europei, e deve rimanere tale. Il crescente fenomeno dell'influenza salafita rischia di minare questo pluralismo, ed Ennhada, o qualunque partito al potere, deve capire che una strumentalizzazione in un senso o nell'altro porterà solo ad una retrocessione, economica e sociale.
Dovunque vada, il leit motiv è il solito: "Questo funzionava, ma dopo la rivoluzione...."

Eppure non posso credere che un Paese possa essere capace di funzionare solo sotto dittatura, simbolo di ordine e controllo, ma anche di corruzione, spreco, iniquità. La realtà è che manca la capacità di organizzarsi in maniera efficace, di lavorare con obiettivi chiari e condivisi volti all'ottenimento di risultati concreti. Manca incisività, responsabilizzazione diffusa, una coscienza di base e il confronto con modelli differenti che rendano evidenti le sfide più urgenti. Ci sono molte eccezioni, ma pochi personaggi sparuti, più che lavorare e faticare nel proprio piccolo, non possono cambiare la storia. 

Quello che sto osservando più da vicino, e ritengo estremamente interessante, simbolico e sintomatico, è la situazione della società civile organizzata. E' vero che la rivoluzione ha portato maggiore attivismo e voglia di impegno tra i giovani. Ma per certi versi, come mi suggerisce un'attivista di lunga data, pare che sia scattata anche una certa censura. Cioè, finchè sei attivista "molle", non dai fastidio, e magari fai attività di basso profilo, va bene. Ma se la tua attività in qualche modo mette in discussione i poteri forti, allora non va bene e rischi di subire ostracismo. Inoltre - mi scuso per la generalizzazione - credo che la gioventù locale sia poco matura, poco abituata a pensare, poco cosciente dei problemi, lavora per "sentito dire", o inseguendo la moda del momento, e la finalità sono i soldi più che i progetti in sè. Ossessione diffusa è prendere soldi, trovare soldi, poi cosa si fa importa meno, magari poi non se ne fa niente. E di soldi adesso, in questo settore, ne girano tanti, sempre per il discorso estero. Se sei bravo a scrivere progetti ed hai gli agganci giusti fai poker, e puoi anche evitare di darti da fare per realizzare delle attività. Sempre che, anche sulla carta, le attività siano effettivamente utili, interessanti, necessarie. Anche chi critica e vuole cambiare tutto questo, non se ne accorge e naviga sulla stessa barca.

Vivo in una città molto ricca, sul mare, turistica, con uno stile di vita medio abbastanza alto. Ma, a parte una piccola minoranza, i giovani pensano solo al divertimento, come in tutte le città ricche, il loro sogno è far tanti soldi. Essendo nel mezzo del Paese, la mentalità è meno "aperta" di quanto mi aspettassi (salvo per coloro che hanno viaggiato molto), a metà tra quella un po' più europea delle città costiere del nord e quella rurale e chiusa del sud, la voglia di fare è tanta ma la capacità di pensare e agire in modo organizzato scarsa. 
Eppure, udite udite, pare che ci siano, nella sola regione di Susa, ben 230 associazioni/organizzazioni senza scopo di lucro. Quando me l'hanno detto, la domanda è sorta spontanea: "E cosa fanno?". In tutta risposta, una risata. Miriadi di NGOs, persone piene di titoli, ma non si capisce cosa realizzino, concretamente. Sarà la stessa moda che dilaga in Italia, di chi ama sentirsi chiamare "presidente", anche se poi di fatto non presiede, e non fa nulla?

Una ragazza tunisina che sta scrivendo una tesi sull'immagine di sè in Umberto Eco, mi dice, senza mezzi termini (e pure in italiano!), che ci sono tre tipi di giovani: quelli responsabili, maturi, in genere professionisti, che guardano all'impegno senza l'ottica "predatoria", quelli che non hanno i mezzi per potersi impegnare e immaginare ad un paese diverso, e quelli che, pur essendo istruiti, benestanti e benintenzionati, continuano a sentire il richiamo corruttore del denaro, e a vedere tutto in quella sola ottica. Non solo condivido, ma lo vedo, lo sento, lo annuso. E come lei, mi indigno, perchè magari proprio quelli che non hanno i soldi e i mezzi, i poveri, gli ignoranti per origini familiari, potrebbero avere (non è detto, ma chissà), a parità di condizioni, una libertà ed una genuinità maggiore nel costruire il futuro del proprio paese. Utilizzando per esso, e non solo per gli altri, le opportunità che arrivano a cascata da tutto il mondo, imparando, sporcandosi le mani, facendo esperienze vere, prima di reclamare soldi e titoli. 
Ma questi sono vizi che trovi ovunque, e per questo li posso non solo capire, ma anche inquadrare senza ingenuità e fronteggiare.

Da ultimo, una nota sul ruolo dei social network. Si è sempre detto che la rivoluzione è avvenuta grazie ai social network, e in parte è vero. I giovani, soprattutto, si sono sentiti importanti, veicolo di un messaggio di cambiamento e di protesta, ma poi è tutto finito. Facebook dilaga, pare che sia l'unico modo per esistere nella società giovanile, gli altri social network sono ignorati. Al contempo, come ho appurato confrontandomi con alcuni attivisti "smart", Facebook è diventato anche lo strumento del "rincoglionimento" generale (non riesco a trovare un termine elegante, scusate). 
E' il solito problema generazionale, forse, di chi rimprovera i più giovani di essere privi di valori, contenuti, ecc., ma mi sento di essere severa; inoltre, non fosse la necessità di usare Facebook per tenere un certo legame e contatto con gli amici lontani, qui l'avrei già chiuso. Ma sono incredula di fronte a quel che rappresenta qui Facebook. E' tutto, è lo specchio di se stessi, è il modo con cui costruire l'immagine di sè, nessun riferimento alla politica, nessun interesse al mondo, alle passioni personali, nulla di nulla. Solo autocelebrazione, piccolezza, vuoto.


martedì 11 giugno 2013

Viaggio nel viaggio. Istantanee

Paradiso perduto


Per la prima volta da quando sono qui, viaggio da sola, in treno, seconda classe. La gente mi osserva, mi siedo accanto ad una ragazza che legge. Ci vogliono quattro ore per arrivare a destinazione, con me ho alcuni articoli de L'Internazionale, Walden di Thoreau, un po' di musica. La colonna sonora è "Bar Casablanca" di Pippo Pollina.


Gabès è una città del sud, bollente, agricola, tradizionale, caotica e inquinata. Le strade sono malridotte, la gente guida in stile "sopravvivenza", zigzagando attorno alle buche, parlando al cellulare senza auricolare (abbiamo pure rischiato un incidente!); i motorini anche di sera girano senza luci, la gente attraversa a caso. Una volta questa città era chiamata "the little Paradise", perchè, unica al mondo, ha mare, oasi e montagne nel raggio di pochi chilometri. Da quando ospita la più grande azienda chimica della Tunisia, purtroppo, è diventata il paradiso dell'inquinamento, per non parlare dei problemi che già si riscontrano altrove: cimiteri di plastica (buste e bottiglie) ovunque, spazi verdi sempre più compressi, magari privati, oppure occupati da uomini ubriachi, dunque rischiosi. Assaggio la maestosità dell'oasi nei tempi che furono grazie alle foto esposte nello zoo: palme rigogliose e verde dappertutto. A Gabès essere felici e realizzati significa avere una casa grande, sposare un uomo ricco, avere dei figli il prima possibile.

Ho trascorso due giorni intensissimi presso la famiglia A.. Una famiglia normale, nè ricca nè povera, tutta lingue, perciò aperta al mondo. Papà insegnante di francese, in pensione, blogger e contadino, appassionato di politica e oppositore di Ben Ali, è lui la mente che ha plasmato l'intraprendenza di questa famiglia; I., la mia amica, insegnante d'inglese e fondatrice di un'associazione di volontariato, viaggia molto grazie alle opportunità formative offerte da Germania e USA, che qui riversano fiumi di soldi per drenare cervelli a basso costo; F., sua sorella, studia inglese all'università, mastica pure lo spagnolo e sogna l'Andalusia. La mamma, una donna modesta, casalinga, tutta dedita alla famiglia, qualche anno fa parlava l'italiano perchè guardava la RAI. Appena arrivo mi scambiano per un'attrice francese, mi chiedono quale sia il segreto della linea (?) e soprattutto del mio taglio di capelli. Mi accolgono come una figlia, e mi deliziano con mille prelibatezze locali, dal cous-cous al succo di palma, insegnandomi, tra un piatto e l'altro, qualche parola (e parolaccia) di dialetto tunisino. Il secondo dei quattro figli vive in Germania, il terzo è apparso solo un paio di volte, forse si vergogna della mia presenza. F., con cui ho avuto delle lunghe chiacchierate sulla vita e sul futuro, mi regala un paio di orecchini, si è svegliata presto apposta per salutarmi, mi abbraccia e sussurra: "Mi sono così abituata alla tua presenza che non voglio che tu parta! Torna presto". 

Viaggio verso Djerba, in louage, unica donna e unica con la cintura di sicurezza, di fianco all'autista. Una collega, I., mi ha parlato di una sua amica, K., che vive in quest'isola magica (Lotophagitis), dove approdò Ulisse. "Secondo me, - scrive I. quando ci mette in contatto - avete da condividere molto più di un caffè". Ho meno di venti ore in totale, ma decido di partire lo stesso.


Ulisse moderni

Per nove infausti dì sul mar pescoso
I venti rei mi trasportâro. Al fine
Nel decimo sbarcammo in su le rive
De' Lotofàgi, un popolo, a cui cibo
È d'una pianta il florido germoglio.
Entrammo nella terra, acqua attignemmo,
E pasteggiammo appo le navi. Estinti
Della fame i desiri e della sete,
Io due scelgo de' nostri, a cui per terzo
Giungo un araldo, e a investigar li mando,
Quai mortali il paese alberghi e nutra.
Partiro e s'affrontaro a quella gente 
Che, lunge dal voler la vita loro, Il dolce loto a savorar lor porse.


Con K. ci sediamo a bere una limonata, la mia bevanda preferita, in un bar sulla spiaggia lontano dal caos della città. Parliamo di politica, di questa inutile Costituente*, composta prevalentemente di soggetti che per vendicare la sofferenza e gli anni di prigionia vissuti sotto il passato regime sono assetati di potere, denaro e interessi personali, e di fatto prendono tempo e lasciano morire lentamente un paese straordinario, ricco di cultura e di diversità vissute in armonia, e che oggi, in nome di una religione strumentalizzata ad arte, vogliono controllare i costumi, disintegrare questa varietà, creare un nemico comune. Mi parla anche del volontariato con i bambini, della ricerca di dottorato e del suo amore per la poesia. Insegnava inglese a Gabès, ma poi si è trasferita qui, ed ha avuto una bellissima bambina, N., che oggi ha quasi due anni e ci osserva dal passeggino, s'inebria del profumo del mare, e s'addormenta. 

Viene a prenderci suo marito, A., e andiamo a casa, in campagna. All'inizio K. sembra giustificarsi per ogni cosa, questo è di seconda mano, la nostra casa non è grande, non abbiamo il seggiolone e preferiamo usare il passeggino anche per i pasti, la bambina non posso lasciarla a nessuno, ecc., ma poi si rende conto che non sono il tipo di persona con cui deve farsi certi problemi. A. non parla molto, ma è un uomo attento, colto (insegna all'università), amante della campagna e della fotografia. Sorride divertito ad ascoltarci, e mi rivela che dopo sei anni insieme, è la prima volta sente parlare sua moglie in inglese.

Tardo pomeriggio. Con K. facciamo un giro della campagna, mi mostra le case tipiche dell'isola. Mi racconta che un'associazione locale si sta interessando a vari problemi ambientali, è riuscita ad ottenere che le costruzioni edilizie restino basse e lineari, in sintonia con quelle storiche, per non alterare il paesaggio urbano. Ci sediamo sulla panca all'ingresso, a godere del silenzio e della piacevole brezza dopo l'afa insostenibile a cui devo ancora abituarmi. Finiamo per parlare di Londra. Della "nostra" Londra, di come l'abbiamo vissuta, a volte senza essere capite. La ricordiamo affascinate. K. sogna di tornare sull'isola per visitare il Lake District, io per esplorare la Scozia. Ci chiediamo se tanta ispirazione artistica, nella storia, fosse stata possibile senza l'immersione nella natura.

Quando N. si sveglia, A., che indossa per l'occasione un abito tipico locale, una lunga casacca bianca e semplice, ci porta sulla spiaggia vicino al faro. E' crepuscolo, il posto è deserto, a parte una coppia che fa il bagno, la donna è vestita. Ci fermiamo ad ascoltare il suono avvolgente delle onde. Anche a me piace il mare per pensare ed ascoltare più che per nuotare. K. mi dice: "Mi sembra che ci conosciamo da una vita. Resta ancora un po', se puoi". A. registra per me un video con i suoni del mare.
Dopo cena, la piccola N., che in genere non si addormenta senza papà, si infila nel mio letto, spiazzando tutti. "Le piaci molto, è strano vederla così felice con qualcun altro, di solito è schiva". Al mattino, prima di accompagnarmi in stazione, trovo un cesto di fichi appena raccolti dall'albero come ricordo di viaggio. 

Riprendo il louage, il traghetto, il treno, per Susa. Mi è sembrato di star via un mese. E già sento tanta nostalgia di questa atmosfera, fatta di paesaggi e persone "sapienti", che coniugano semplicità, manualità e studio.  Riapro Walden: 

"How could youths better learn to live than by at once trying the experiment of living? Methinks this would exercise their minds as much as mathematics. If I wished a boy to know something about the arts and sciences, for instance, I would not pursue the common couse, which is merely to send him into the neighborhood of some professor, where anything is professes and practised but the art of life; - to survey the world through a telescope or a microscope, and never with his natural eye; to study chemistry, and not learn how his bread is made, or mechanics, and not learn hot it is earned; to discover new satellites to Neptune, and not detect the motes in his eyes, or to what vagabond he is a satellite himself; or to be devoured by the monsters that swarm all around him, while contemplating the monsters in a drop of vinegar. (...) Even the poor student studies and is taught only political economy, while that economy of living which is syonymous with philosophy is not even sincerely professed in our colleges. The consequence is that while he is reading Adam Smith, Ricardo, and Say, he runs his father in debt irretrievably. As with our colleges, so with hundred "modern improvements", there is an illusion about them; there is not always a positive advance. (...) Our inventions are wont to be pretty toys, which distract our attention from serious things. (...) We are in great haste to construct a magnetic telegraph from Maine to Texas, but Maine and Texas, it may be, have nothing important to communicate.

*tra i membri della Costituente, vi è una persona che conosco bene, di cui un'attivista, a Tunisi, mi ha parlato malissimo, dicendo testualmente: "Da quando è arrivato in Tunisia per la Costituente, O. ha lasciato nel mar Mediterraneo tutti i valori di democrazia, libertà, diritti umani". L'avevo intervistato, in Italia, nel 2011 (leggi qui), e appena arrivata qui gli ho scritto per rivederlo, salutarlo e magari intervistarlo, ma non mi ha mai risposto. Ora capisco perché.

[le foto di quest'anno sono sul mio blog flickr, per vederle clicca QUI]


giovedì 6 giugno 2013

Duemilatredici

Sousse, Tunisia.

Vivere nel duemilatredici vuol dire anche questo: tornare a lavare il bucato a mano, come a M. quarant'anni fa, vedere gli asinelli per strada, come accade qui in Tunisia, ma anche poter seguire in diretta skype - e veder dirsi di "sì", in un video grezzo e rovinato come una pellicola d'epoca, i tuoi amici più cari.
E, come se non bastasse, commuoversi davanti al pc!

MG e Clem. vi voglio bene, e ve lo dico pubblicamente perchè siete due persone speciali, con voi ho trascorso anni indimenticabili, tra Università, banchetti (!), noiosissime conferenze e dibattiti, preghiere, gite, pranzi e feste in allegria!

Il futuro è nelle mani di chi sa farsi promesse non banali. Grazie di esistere!

(scusate per la foto rubata)


lunedì 3 giugno 2013

Trentanni

Sousse, Tunisia.

A trent'anni
guardi indietro, al passato, e sorridi,
guardi avanti e vedi l'orizzonte;
fai pace col mondo, pensi più alla sostanza che alla forma,
non vuoi essere nessuno oltre che te stesso.
Una sensazione stupenda di immensa libertà.

Sono felice di compiere trentanni nel mezzo della crisi più grave della storia, nel mezzo del totale spaesamento, perché è proprio vero che ogni crisi porta con sé mille opportunità; ti costringe a tornare all'essenziale, a quel che conta davvero: o impari a vedere tutto con occhi nuovi, o al contrario vedi solo distruzione, malattia e declino.

A noi la scelta. A me la scelta.

[la colonna sonora dei miei 30 anni è il nuovo, stupendo singolo degli Hana B, Merry-go-round
http://www.youtube.com/watch?v=r6dlyIZSuEI ]