martedì 9 luglio 2013

Contrasti

Sousse, Tunisia.

Gli angeli esistono. Ne ho incontrato uno, e si chiama H., ha l'età di mio fratello. Proprio nella fase più difficile del mio soggiorno qui, mentre stavo, e in effetti sto ancora, per mollare tutto, l'ho conosciuto, in occasione dell'appuntamento mensile del Critical Mass, il primo a cui partecipavo, da sola (per poi uscirne piena di nuovi amici). Completamente distrutta da una pessima esperienza di lavoro, a contatto con giovani schiavi di una mentalità chiusa ed arretrata, effettivamente pensavo che qui a Sousse fossero tutti fatti nello stesso modo, con sfumature di corruzione interiore prima che esteriore e familismo amorale, pigrizia e poca voglia di scambiare esperienze. 

Ma come la vita insegna, esistono sempre i contrasti. E nel Mediterraneo i contrasti si fanno più forti, più decisi, e dunque più impressionanti, non ci sono mezze misure. E così in Tunisia osservi le ragazze con il burqua integrale, in cui solo gli occhi prendono respiro da piccole fessure, peraltro cucite in modo da non metterli in evidenza, a quelle che diresti europee, che al mare mettono in bikini e non il burquini. Passi dai falchi a gente splendida dallo sguardo lungo, che sogna e sa far corrispondere all'idea la giusta, misurata e umile, azione. Sa osare quanto imparare. Sa amare il lavoro quanto la cura del proprio equilibrio interiore. E soprattutto, sa farti sentire a casa parlando varie lingue, chiedendoti a volte di parlare la tua, se vuoi rilassarti e respirare, che tanto si capisce.

Nel maremoto di una situazione che non so ancora, domani, dove mi porterà, questo angelo, H., mi ha aperto un mondo. Mi ha subito capito e accolto come una sorella, come un'amica, invitato al caffè con i suoi amici più cari (anche se ero l'unica donna nel locale!), alla grigliata della domenica in riva al mare, introdotto in una casa-b&b in cui potrò alloggiare se non saprò dove andare, promesso un invito a casa sua appena inizia il Ramadan. E soprattutto, lui e il suo amico H., ogni giorno mi chiedono come sto, si preoccupano per me, non vogliono che torni in Europa con un'idea così negativa sui tunisini. Vogliono mostrarmi, senza dover nulla inventare, che c'è dell'altro.

In riva al mare, in una pausa pomeridiana, senza sole, ma con una brezza piacevole che raffredda le scottature del primo bagno, mi ritrovo così a parlare con tunisini viaggiatori, chi nello spazio, chi nella mente. Perchè quelli che non possono viaggiare, ma sono curiosi del mondo, accolgono gli stranieri tramite il couch-surfing, e se chiudo gli occhi mi sembra di essere in una qualsiasi città europea o americana. 

[soundtrack: Dire Straits, Walk on life...Perchè per la prima volta ho ascoltato la "mia" musica con i locali]

giovedì 4 luglio 2013

L'homme et la mer

Sousse, Tunisia.

Homme libre, toujours tu chériras la mer!
La mer est ton miroir; tu contemples ton âme
Dans le déroulement infini de sa lame,
Et ton esprit n'est pas un gouffre moins amer.
Tu te plais à plonger au sein de ton image;
Tu l'embrasses des yeux et des bras, et ton coeur
Se distrait quelquefois de sa propre rumeur
Au bruit de cette plainte indomptable et sauvage.
Vous êtes tous les deux ténébreux et discrets:
Homme, nul n'a sondé le fond de tes abîmes;
Ô mer, nul ne connaît tes richesses intimes,
Tant vous êtes jaloux de garder vos secrets!
Et cependant voilà des siècles innombrables
Que vous vous combattez sans pitié ni remords,
Tellement vous aimez le carnage et la mort,
Ô lutteurs éternels, ô frères implacables!
— Charles Baudelaire

lunedì 1 luglio 2013

I bambini del Sahel

Sousse, Tunisia.

Sulla scogliera di Mahdia, una piccola cittadina sulla costa del Sahel, turistica ma non troppo, dove vige un ferreo campanilismo, tre bambini giocano da un'ora per creare un qualcosa che all'occhio del passante non ha alcun significato nè scopo, usando una rete da pescatore e cinque bottiglie. S'ingegnano, fanno prove, mormorano che c'è bisogno di una quarta persona per riuscire nell'impresa. Poi, finalmente, la prova. Ma è un fallimento. Forse vogliono imitare i pescatori, ma in fondo non sanno bene come si fa. Affranti, vanno via. 

E' un'immagine splendida, come tante altre in questi paesini di mare. Mi ricorda la mia infanzia, quando giocavamo tutto il giorno - salvo il momento della siesta - nelle strade, rischiando continuamente secchiate d'acqua dalle vecchine che imploravano silenzio, la mamma che solo in casi di urgenza si affacciava a controllare che non ci si picchiasse troppo, le ginocchia sbucciate, le alleanze cangianti, l'aria e il sole, le marachelle. 

Oggi di queste scene se ne vedono davvero poche in Europa. I bambini sono proprietà privata, il timore dei pedofili (una delle varie mode dei mass-media) li costringe ad una vita da reclusi, davanti ad una play-station e ad una montagna di giochi super-tech che inibiscono la creatività, sotto l'occhio vigile dei genitori che non li mollano per più di un minuto. Eppure noi eravamo "eserciti" di bambini, aggregavamo interi quartieri, con i genitori a casa a fare i loro affari, costruivamo, piantavamo, andavamo spesso in campagna, inventavamo storie e spettacoli teatrali, ci colpivamo coi palloni e ci prendevamo a schiaffi, eravamo pieni di cicatrici, graffi e ferite a forza di pedalare, pattinare, correre. 

Rovescio questa immagine, la riporto al mondo degli adulti. Viviamo nello stesso dilemma. Rinchiusi in casa e attaccati al pc, abbiamo perso il contatto con la natura e la forza, l'energia, che la vita all'aria aperta può dare. Fatichiamo a creare, ad inventare, a mescolare il buono che ci arriva dal progresso con tutto questo. 

Io, per oggi, me ne sto sul molo di Tboulba ad ascoltare Léo Ferrè, col vento che rende il sole più sopportabile, e come per magia lo stress accumulato scompare, e non rimpiango di non essere più partita per Jerba.