Sto leggendo – e rileggendo – molti bellissimi libri ultimamente. Uno
di quelli che mi ha più stupito in relazione all’attualità è Sottomissione
di Michel Houellebecq, quello che tanto ha fatto discutere dopo gli attentati a Charlie Hebdo. Mi aspettavo un libro sprezzante, pieno di
banalità sui musulmani, e invece non contiene nulla di tutto questo, anzi credo
dovrebbe essere preso più seriamente di quanto fatto finora. Non perché descriva
il tipo di società in cui vorrei vivere, ma certamente fa pensare. Questo romanzo rientra a
pieno titolo nel genere della fantapolitica, così come alcuni dei miei libri
preferiti, 1984 di Orwell e Saggio sulla lucidità di José Saramago.
Sottomissione racconta l’alienante storia di un professore universitario della
Sorbona di Parigi; uomo sulla quarantina, ateo, intellettuale, tendenzialmente single ma spesso in compagnia di una delle sue studentesse. Lo sfondo politico, in cui s’inserisce
la storia personale del protagonista, è l’ascesa al potere, in maniera diplomatica
e democratica, del partito islamista moderato, la Fratellanza, che rompe l'alternanza destra-sinistra e diventa incredibilmente il partito pacificatore, che porta ordine, stabilità,
crescita, ritorno a valori comunitari e sicurezza, ma che in
cambio propone la conversione e il ritorno alla tradizione, ad una società dove
la famiglia è il centro, a costo di fondarsi su rapporti di interesse, votati
alla procreazione e all’educazione delle future generazioni in un ambiente
protetto. Il protagonista, che è pure il narratore, osserva i cambiamenti che
man mano pervadono la sua vita quotidiana, dapprima con distacco ed
indifferenza, cercando di apprezzarne i vantaggi (assicurarsi per esempio una
lauta pensione prima del tempo), fin quando non incontra un docente convertitosi
all’islam, talentuoso divulgatore, e si ritrova in un vortice che lo condurrà inaspettatamente
alla conversione – una conversione di convenienza, certo, ma non solo dettata
da ragioni economiche – e a vivere una seconda vita mai immaginata prima. La
sua precedente storia è da tempo finita, con l’emigrazione in Israele della sua
ragazza (e di tanti altri ebrei), e a tal proposito si discute il rapporto tra
islam e le altre religioni monoteiste, dove per esempio i cristiani risultano
deboli, incapaci di dare certezze ai proseliti, poiché hanno “ceduto” su molti
fronti in nome della laicità e delle necessità dei tempi moderni. Il
protagonista, dopo la conversione, vede il suo stipendio triplicarsi, senza
alcun onere per lo Stato, e
dopo aver vissuto vari mesi in solitudine, all’affannosa ricerca di rapporti sessuali a pagamento, beneficia della possibilità di avere una e più
mogli, scelte da altre donne sulla base del suo status sociale, e si scopre appagato. La
disoccupazione cala di colpo, le donne cambiano repentinamente abbigliamento, scompaiono
dai circoli accademici, e il protagonista si culla nell’inaspettato piacere che
deriva da questo tipo di società. È uno scenario provocatorio, estremo, ma il contesto
descritto si fonda su basi realistiche, e il risultato è un romanzo nemmeno
così surreale, che racconta una delle possibili conseguenze dello
spaesamento che provoca una società individualista, libertina e sempre più orfana di
riferimenti come quella europea. Non si dà un giudizio di valore a
tale destino, ma la storia ha una sua coerenza e solidità
e, per chi ha un minimo vissuto in grandi città europee, ha il terrificante sapore del possibile.
Non è casuale per me aver letto questo libro subito dopo Penelope
va alla guerra, e a distanza di un mese da Il sesso inutile. Personalmente, mi ritengo femminista, di quel femminismo alla Fallaci, che non ha bisogno di
urlare sempre alla discriminazione, che sta comodamente e senza
troppe lagne o rivendicazioni dove una volta avevano diritto a stare solo gli
uomini, o quel femminismo alla Angela Terzani, dove non sei un essere
inferiore, e anzi hai ugualmente un ruolo importante ed una identità propria
se decidi di seguire e supportare tuo marito in giro per il mondo, o di
avere dei figli e dedicarti alla famiglia. Credo che questo romanzo sia dannatamente realistico, e lo
dico perché inizio a saperne abbastanza su musulmani, vita nei contesti
tradizionali, intermedi e ultra-contemporanei, e sentimenti contrastanti nelle
donne di diverse culture. Sarebbe bello discuterne tra donne (ma anche uomini, odio
le iniziative mono-genere), esplorare quella parte del romanzo che parla (o meglio, lascia intendere) di donne che in quel cambiamento così
anacronistico si riscoprono forse meno confuse e meno ansiose; vorrei chiedere
a ciascuna come si vive questo periodo di mezzo, in cui se nasci in una famiglia illuminata, puoi godere delle
stesse opportunità degli uomini, puoi decidere della tua vita, se lavorare
o meno, se studiare o meno, se viaggiare da sola o in compagnia, se avere o
meno dei figli – fermo restando la piaga dei femminicidi, esempio di tenace resistenza
di certi uomini, anche nelle società evolute, ad accettare la donna come essere
libero e indipendente. E però in molte scoprono che
cambiare partner ogni sera alla lunga porta frustrazione, troppa libertà senza
capacità di scelta conduce a nuove schiavitù; non si osa rimpiangere il
passato, ma si scopre anche che, per certe donne, pure intelligenti e amabili,
la società semplice dava sicurezza, una precisa utilità, seppur molta meno
libertà. Non c’è un meglio o un peggio in generale, c’è solo quel sentimento di
spaesamento, dove tutti siamo diventati donne e uomini al contempo, potenzialmente
con gli stessi ruoli e le stesse capacità, la stessa voglia di amare e di
essere amati, con la certezza di non voler essere sottomesse a nessuno, di
scegliere, sperimentare, essere libere e non schiave delle tradizioni, ma poi
troppe volte sole, senza famiglia né dietro né davanti a noi, con una carriera,
forse, e un’eredità di parole, valori, e talvolta soldi, destinata all’umanità tutta
e a nessuno.
Il paradosso o la frontiera dell’emancipazione, dove ognuno fa da sé,
ogni legame diventa insopportabile e sembra volerci schiavizzare, o forse è solo
quel dubbio che così bene illustrava molti anni fa la giovanissima Oriana
Fallaci ne Il sesso inutile (niente a che vedere con quella rabbiosa dell'ultimo periodo), dopo aver girato il mondo per raccontare la
condizione della donna, essersi scandalizzata di fronte alle spose bambine, ai
matrimoni combinati, alla poligamia, aver ammirato le orgogliose matriarche
malesi (esempio di oppressione al contrario, ma pur sempre insana), per poi
tornare in Occidente e chiedersi se invece quelle donne semisvestite, emancipate, ubriache, libere sessualmente e in verità sole, non siano altrettanto infelici
quanto le altre.
La sera, quando la subway le inghiottiva per sputarle dinanzi all’appartamento
pagato coi soldi di tanta indipendenza, una malinconia disperata appannava loro
il cuore e il cervello: tutta New York sembrava sussultare dei loro rabbiosi
respiri. Così riscappavano fuori e di nuovo la subway le inghiottiva per
sputarle dinanzi ad un cinematografo o un bar dove si sarebbero ubriacata,
sole, a pensare quanto è ambigua la loro vittoria di cui il mondo parla fino a
farne un problema. E Dio sa se è un problema. Con quegli eterni bambini che
cercano la madre perfino in una segretaria, esse esercitano, sì, autorità e
autosufficienza, ma allo stesso tempo sognano umiltà e compagnia: poiché non si
sfugge alle regole ferree di una società, ma non si sfugge nemmeno ai
sentimenti più semplici. […]
Da un capo all’altro della terra le donne vivono in un modo
sbagliato: o segregate come bestie in uno zoo, guardando il cielo e la gente da
un lenzuolo che le avvolge come il sudario avvolge il cadavere, o scatenate
come guerrieri ambiziosi, guadagnando medaglie nelle gare di tiro coi maschi. E
io non sapevo se la pena più profonda l’avessi provata dinanzi alla piccola
sposa di Karachi o dinanzi alla brutta soldatessa di Ankara. Non sapevo se mi
avesse spaventato di più la vecchia cinese coi piedi fasciati o questa
americana impegnata a trattenere un italiano che sbadigliava di sonno. […]
Il grande ritornello che scuote le donne dell’intero globo
terrestre si chiama Emancipazione e Progresso: ogni volta che sbarcavo in un
nuovo paese mi trovavo dinanzi queste due parolone e le donne se ne riempivan
la bocca quasi si fosse trattato di chewingum. Gliele abbiamo insegnate noi
donne evolute, come a masticare chewinng gum, ma non gli abbiamo detto che il
chewingum può far male allo stomaco. […]
Girando come Caino intorno
alla luna, ero tornata in ogni senso al medesimo punto da cui ero partita. E in
quel girare avevo seguito la marcia delle donne intorno a una cupa,
stupidissima infelicità. [O.Fallaci]
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