mercoledì 1 gennaio 2014

Nebbia fitta, metafora di un Paese

Minervino Murge, 1 gennaio 2014

C’è nebbia fitta qui a Minervino, dopo giorni di alte temperature e di tramonti rosso fuoco. Mi capita di passeggiare per le strade di un paese deserto. Il senso di desolazione, acuito dalla nebbia, stavolta è netto. Dovunque spuntano cartelli di “Vendesi”, specie sulle porte delle case del centro storico, mentre nella zona nuova si continua a costruire, a cementificare, a vendere.

In questi giorni, chi è rientrato è tornato alle tradizioni enogastronomiche del Natale e ai raduni familiari. Passando dalla piazza principale, il centro del paese, osservo i bar pieni di uomini, che mi ricordano i bar “poveri” della Tunisia, e noto che dopo oltre trent’anni si sta finalmente ristrutturando – con calma - un vecchio cinema. Prima ancora ce n’erano due, di cinema, ma a quei tempi, va detto, non c’era la televisione.

Nel paese resistono alcune giovani famiglie e tantissimi anziani (i cui figli vivono altrove) accuditi da donne dell’est Europa, che ogni pomeriggio si radunano, alle cinque, nella villa Faro. Il centro storico, composto di antiche casette bianche, strettoie e strade in pietra, sta crollando a pezzi, e i pochi angoli ristrutturati dai singoli privati spesso stonano con l’architettura di base. È proprio un peccato assistere a tutto questo. Nessuna iniziativa per la cultura, l’evento di punta resta la sagra del fungo cardoncello, a fine ottobre.

Che è pure qualcosa, la sagra, ma possibile che nessuno valorizzi a livello turistico il fatto che Minervino si trovi entro i confini del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, istituito nel 2004? Possibile che nessuno noti l’assonanza con i paesaggi del West Bank palestinese? Possibile che la biblioteca, una volta frequentatissima e ricca di iniziative, stia morendo, e che nessun bambino legga più? Che il palazzetto dello sport resti inagibile per motivi di sicurezza? Che non ci sia una piscina comunale, una libreria (degna di questo nome), un modo per ridare vita al centro storico? Che nell’amministrazione comunale non ci sia ricambio effettivo e una svolta politica, al di là dell'utile scusa della mancanza di fondi? Che con la generazione dei nostri genitori si stiano perdendo definitivamente le tradizioni più importanti?

È, forse, la metafora di un intero Paese. Servirebbe un movimento più generoso delle nostre singole buone intenzioni, fomentato dalla crisi e dalla necessità di lasciare – per motivi di oggettiva invivibilità – le città della moda e della finanza, che spezzi il dominio della mentalità chiusa e gretta, e che riporti anche solo per periodi limitati molte delle energie positive educatesi nei viaggi e nel confronto con culture differenti. 

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