venerdì 4 gennaio 2013

Candidati dalla società civile organizzata

In questi giorni fioccano i nomi dei candidati alla prossime elezioni politiche. Tanti volti nuovi, e questo è un bene, soprattutto dalla società civile. Tra le mille cose su cui sto riflettendo, ce n'è una che mi preme in modo particolare. La difesa dell'indipendenza delle associazioni rispetto ai singoli che decidono - legittimamente - di intraprendere nuovi percorsi, in questo caso di politica attiva.

Come sempre, non voglio fare la moralista senza sapere di cosa parlo, e quindi mi riferirò alla mia personale - seppur datata! - esperienza in questo campo. Ovviamente qui mi riferisco ad associazioni chiaramente apartitiche e pluraliste (democratiche o meno). Non faccio nomi, perchè vorrei fare un discorso molto generale.

Nel 2007, ad un mese dalla scadenza del mandato di presidente della F., mi fu chiesto di candidarmi al CNSU, in ragione dell'esperienza maturata proprio nella F. Accettai, ma non ne parlai con alcuno pubblicamente. E così la campagna elettorale - con tutti i limiti che non sto qui a ricordare - la iniziai, in ritardo rispetto agli altri, dopo aver terminato l'incarico e senza chiedere a nessuno un appoggio tramite l'associazione. Era ovvio che tanti mi conoscevano in quanto ex-presidente della F., e che anche per questo mi fu proposto di candidarmi, ma era altrettanto chiaro e pacifico che la mia avventura in quel mondo era finita in modo irreversibile, politica universitaria o meno, e che quindi avrei vissuto in maniera solitaria la fatica e il peso di una campagna elettorale breve ed improvvisata, senza esercitare o subire strumentalizzazioni.

Nonostante ciò, ricevetti da personalità inaspettate parole di biasimo per questa scelta - giusto per il gusto di darmi contro, sollevando la questione del "chi fa associazionismo non deve far politica, sommando gli incarichi", che evidentemente non mi riguardava; questione che rilanciai al mittente, invitandolo a guardare prima al caso della propria famiglia, dove un certo signore ricopriva l'incarico di presidente di un'associazione cattolica e allo stesso tempo, da anni, quella di consulente giuridico di un ministro - ministro evidentemente schierato con un partito -, incompatibilità mai affrontata nella sede della sua associazione.

E' ovvio che, essendo cresciuta nella F., mi senta molto sensibile al tema dell'incompatibilità e della separazione degli incarichi per la tutela di organismi pluralisti e apartitici.

Penso che non si debba nascondere il proprio passato, ed anzi esserne fieri se si è agito con correttezza, passione e coscienza, ma che per il bene di associazioni plurali si debba avere il coraggio, una volta deciso di intraprendere altre strade, di recidere completamente il cordone con il mondo da cui si proviene, senza doverlo rinnegare, e questo vuol dire sapere che non si può utilizzare quel bacino di persone come bacino di consenso, pena la strumentalizzazione dell'associazione.

Perché dico questo? Perché so bene, come quanti ci sono passati, che le avventure in certe organizzazioni, soprattutto ad alti livelli, lasciano il segno in modo indelebile ed oltre le proprie ammissioni e volontà, e che non è per nulla semplice decidere di tornare ad essere un emerito nessuno dopo aver goduto dell'ebbrezza e del consenso che un ruolo associativo spesso comporta.

Pertanto, a tutti quelli che decidono di fare il grande passo, chiedo estrema chiarezza e trasparenza, l'assunzione certo di responsabilità in sede pubblica qualora eletti, ma anche l'umiltà di lasciare completamente liberi e tutelati nella loro diversità coloro che continuano a militare nel mondo associativo. In breve, promettere versamenti di stipendi parlamentari, non mi pare una bella mossa. Come insegna il Vangelo, se vuoi fare un'offerta per la causa, non hai bisogno di farti pubblicità, altrimenti scadi nella strumentalizzazione.

Chi ha orecchi per intendere, intenda!

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