venerdì 21 giugno 2013

Rivoluzione, "mi manchi"

Sousse, Tunisia.

Forse è un po' presto per parlarne, ma per me il tempo è sempre denso, e meno lento di quel che pensi. Sono qui da poco più di un mese, e ho già capito e sconvolto tante cose, pur rimettendoci sonno, salute, e soprattutto la vita sociale. Ma nell'ottica del non-spreco, sto anche leggendo tantissimo, e molte idee sul futuro mi frullano in testa. Lasciamole fermentare. Per adesso, è il turno di One-dimensional man di Marcuse, dopo aver divorato The precariat di Guy Standing, che ora è disponibile anche in italiano e suggerisco vivamente.

La fatica è tanta e l'emozione di fronte agli ormai quotidiani "mi manchi" da Londra, Roma, Torino, ecc. quasi insostenibile, un po' mi consolano e un po' acuiscono la solitudine. Un bicchiere di vino da rinviare forse per sempre, la compagnia quotidiana che non c'è più, il ricordo di tempi lontani, la voglia di godere da vicino le affinità elettive. Ma devo resistere, senza ingenuità e un po' di cinismo, usando tutte le risorse che ho accumulato in questi anni.

Vorrei condividere intanto, da quest'osservatorio privilegiato, alcuni pensieri sullo stato post-rivoluzionario della Tunisia. 

Come ormai tutti abbiamo pacificamente appurato, la Rivoluzione è stato un bluff, un fulmine a ciel sereno che non ha prodotto gli effetti sperati. E ora spiegherò il perchè.

La società tutta non è pronta. Il Paese ha un potenziale enorme, delle intelligenze incredibili, una marea di ingegneri che sempre più saranno diretti altrove (o usati per fini altrui) da USA e Germania, e questo perchè  il popolo si è da sempre arricchito della mescolanza tra culture. Tuttavia, si tratta, come altri, di un paese Mediterraneo, e certa mentalità dominante non consente alle eccellenze di emergere. 

Come abbiamo visto, finalmente il diritto di voto e la fine del regime ha consentito ai cittadini di eleggere non un governo (anche a livello locale) ma un'assemblea costituente che lavora da due anni e non ha ancora prodotto una carta definitiva. La maggioranza è stata conquistata dagli islamisti moderati di Ennhada, un partito che in modo più o meno latente ha instillato nella società l'illusione che una svolta conservatrice in senso religioso possa portare il cambiamento sperato, un'emancipazione dalle potenze occidentali. La Tunisia finora ha consentito la convivenza pacifica di modelli differenti, più tradizionalisti e più europei, e deve rimanere tale. Il crescente fenomeno dell'influenza salafita rischia di minare questo pluralismo, ed Ennhada, o qualunque partito al potere, deve capire che una strumentalizzazione in un senso o nell'altro porterà solo ad una retrocessione, economica e sociale.
Dovunque vada, il leit motiv è il solito: "Questo funzionava, ma dopo la rivoluzione...."

Eppure non posso credere che un Paese possa essere capace di funzionare solo sotto dittatura, simbolo di ordine e controllo, ma anche di corruzione, spreco, iniquità. La realtà è che manca la capacità di organizzarsi in maniera efficace, di lavorare con obiettivi chiari e condivisi volti all'ottenimento di risultati concreti. Manca incisività, responsabilizzazione diffusa, una coscienza di base e il confronto con modelli differenti che rendano evidenti le sfide più urgenti. Ci sono molte eccezioni, ma pochi personaggi sparuti, più che lavorare e faticare nel proprio piccolo, non possono cambiare la storia. 

Quello che sto osservando più da vicino, e ritengo estremamente interessante, simbolico e sintomatico, è la situazione della società civile organizzata. E' vero che la rivoluzione ha portato maggiore attivismo e voglia di impegno tra i giovani. Ma per certi versi, come mi suggerisce un'attivista di lunga data, pare che sia scattata anche una certa censura. Cioè, finchè sei attivista "molle", non dai fastidio, e magari fai attività di basso profilo, va bene. Ma se la tua attività in qualche modo mette in discussione i poteri forti, allora non va bene e rischi di subire ostracismo. Inoltre - mi scuso per la generalizzazione - credo che la gioventù locale sia poco matura, poco abituata a pensare, poco cosciente dei problemi, lavora per "sentito dire", o inseguendo la moda del momento, e la finalità sono i soldi più che i progetti in sè. Ossessione diffusa è prendere soldi, trovare soldi, poi cosa si fa importa meno, magari poi non se ne fa niente. E di soldi adesso, in questo settore, ne girano tanti, sempre per il discorso estero. Se sei bravo a scrivere progetti ed hai gli agganci giusti fai poker, e puoi anche evitare di darti da fare per realizzare delle attività. Sempre che, anche sulla carta, le attività siano effettivamente utili, interessanti, necessarie. Anche chi critica e vuole cambiare tutto questo, non se ne accorge e naviga sulla stessa barca.

Vivo in una città molto ricca, sul mare, turistica, con uno stile di vita medio abbastanza alto. Ma, a parte una piccola minoranza, i giovani pensano solo al divertimento, come in tutte le città ricche, il loro sogno è far tanti soldi. Essendo nel mezzo del Paese, la mentalità è meno "aperta" di quanto mi aspettassi (salvo per coloro che hanno viaggiato molto), a metà tra quella un po' più europea delle città costiere del nord e quella rurale e chiusa del sud, la voglia di fare è tanta ma la capacità di pensare e agire in modo organizzato scarsa. 
Eppure, udite udite, pare che ci siano, nella sola regione di Susa, ben 230 associazioni/organizzazioni senza scopo di lucro. Quando me l'hanno detto, la domanda è sorta spontanea: "E cosa fanno?". In tutta risposta, una risata. Miriadi di NGOs, persone piene di titoli, ma non si capisce cosa realizzino, concretamente. Sarà la stessa moda che dilaga in Italia, di chi ama sentirsi chiamare "presidente", anche se poi di fatto non presiede, e non fa nulla?

Una ragazza tunisina che sta scrivendo una tesi sull'immagine di sè in Umberto Eco, mi dice, senza mezzi termini (e pure in italiano!), che ci sono tre tipi di giovani: quelli responsabili, maturi, in genere professionisti, che guardano all'impegno senza l'ottica "predatoria", quelli che non hanno i mezzi per potersi impegnare e immaginare ad un paese diverso, e quelli che, pur essendo istruiti, benestanti e benintenzionati, continuano a sentire il richiamo corruttore del denaro, e a vedere tutto in quella sola ottica. Non solo condivido, ma lo vedo, lo sento, lo annuso. E come lei, mi indigno, perchè magari proprio quelli che non hanno i soldi e i mezzi, i poveri, gli ignoranti per origini familiari, potrebbero avere (non è detto, ma chissà), a parità di condizioni, una libertà ed una genuinità maggiore nel costruire il futuro del proprio paese. Utilizzando per esso, e non solo per gli altri, le opportunità che arrivano a cascata da tutto il mondo, imparando, sporcandosi le mani, facendo esperienze vere, prima di reclamare soldi e titoli. 
Ma questi sono vizi che trovi ovunque, e per questo li posso non solo capire, ma anche inquadrare senza ingenuità e fronteggiare.

Da ultimo, una nota sul ruolo dei social network. Si è sempre detto che la rivoluzione è avvenuta grazie ai social network, e in parte è vero. I giovani, soprattutto, si sono sentiti importanti, veicolo di un messaggio di cambiamento e di protesta, ma poi è tutto finito. Facebook dilaga, pare che sia l'unico modo per esistere nella società giovanile, gli altri social network sono ignorati. Al contempo, come ho appurato confrontandomi con alcuni attivisti "smart", Facebook è diventato anche lo strumento del "rincoglionimento" generale (non riesco a trovare un termine elegante, scusate). 
E' il solito problema generazionale, forse, di chi rimprovera i più giovani di essere privi di valori, contenuti, ecc., ma mi sento di essere severa; inoltre, non fosse la necessità di usare Facebook per tenere un certo legame e contatto con gli amici lontani, qui l'avrei già chiuso. Ma sono incredula di fronte a quel che rappresenta qui Facebook. E' tutto, è lo specchio di se stessi, è il modo con cui costruire l'immagine di sè, nessun riferimento alla politica, nessun interesse al mondo, alle passioni personali, nulla di nulla. Solo autocelebrazione, piccolezza, vuoto.


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